7 VIE - 13 TIRI - 300m CHIODATI Per la descrizione dettagliata della Falesia, vai a: Falesia Torre Dimenticata La Falesia Torre Dimenticata apre al pubblico con una selelzione di vie dal V al 6c. C'è ancora tanto lavoro da fare, ma vogliamo condividere con voi questo bellissimo posto. Alle vie Re Mugo e Non Dimenticarmi sulla Torre, si aggiungono la via The Edge , sul diedro di fronte alla Torre e il settore MURAGLIA . La MURAGLIA è una placconata di 40 metri che si tuffa dai prati del colle Montu sulla parete nord della Torre Dimenticata. Le vie sono lunghe e sostenute: i primi 20 metri leggermente strapiombanti con un finale su placca tecnica e poco lavorata. La chiodatura è stretta per delle salite plasir e le soste sono unite da una corda fissa per poter provare tutte le linee dall’alto. Quattro linee solcano la Muraglia, più di 70 fix tra soste e rinvii. Il settore è stato chiodato da M. e L. Serafini, D. Bonfanti , D. Soares , E. Cavenati, F. Bizzoni Ringraziamo
Storie di Aperture - "In una di quelle grandi casse giaceva il conte Drycula"
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Autore: Marco Serafini
Tratto da un report pubblicato su Planet Mountain.
Drycula è il primo grosso progetto di chiodatura che abbiamo intrapreso.
Una decina di giornate passate a chiodare, spostare neve e liberare questa
bellissima linea invernale.
La parete nord della Corna Piatta mi ha sempre affascinato. I suoi
contrafforti crescono sopra il paese di Oltre il Colle, in Val Brembana, nel
gruppo del Monte Alben. Insieme alla vicina Cima Croce, creano un anfiteatro
che negli ultimi anni ha visto sempre più cordate nei canali che le dividono
e nelle vie di misto che tappezzano la parete Nord-Ovest della Cima Croce.
L'ampia scelta di itinerari e la comodità del posto hanno reso questa conca
una meta ambita dai bergamaschi e d'inverno non è raro trovare coda agli
attacchi delle vie.
Ricordo diverse mattine al parcheggio sotto le pareti, con il naso all'insù
a scrutare le due cime, leggendo la relazione di Black Line o Hotel
California e bevendo l'ultimo sorso di tè con quel misto di trepidazione e
dubbio che solo le battute con i compagni di cordata riescono a tenere a
bada.
Salendo verso gli attacchi sulla Cima Croce, con zaini sempre troppo
pesanti, volgevo lo sguardo alla Corna Piatta e mi domandavo come potesse
essere priva di vie. Dopotutto è la parete più verticale e compatta, non ché
più imponente, del gruppo dell'Alben, eppure gli sforzi alpinistici si sono
concentrati sulla più piccola parete nord-ovest della Cima Croce. L'unica
spiegazione che mi diedi, in quelle mattinate gelide passate a scoprire il
bellissimo mondo del misto invernale, era la presenza della via ferrata
Maurizio; realizzata negli anni 2000 per l'appunto sulla Corna Piatta e
frequentatissima d'estate. Mi immaginavo gli alpinisti duri e puri schifati
dalla prospettiva di dividere placche e diedri con una ferrata e che quindi
avessero preferito lasciare questa zona ai cugini ferratisti.
Il dubbio mi rimase e così iniziai a ricostruire la storia della parete.
Scoprì tra vecchi annuari del CAI quella che con ogni probabilità fu la
prima salita; due cordate nel 1943 salirono due linee distinte arrivando in
vetta in poco meno di 6 ore. Impossibile ricostruire l'itinerario dalla
breve relazione, pensata per dare notizia della conquista, ma non certo per
agevolare possibili ripetizioni.
In tempi più moderni trovo qualche accenno ad una via Oprandi di cui scopro
il tracciato parlando con l'apritore Omar Oprandi. La via fu aperta nel 1983
da Oprandi e Bonzi e sembra proprio che sia stata "mangiata" dal percorso
della ferrata, che nella parte alta si sovrappone perfettamente al tracciato
che Omar mi gira. Aprendo la nostra via scopriremo sulla parete dei residui
consunti dal tempo. Resti di chiodi che potrebbero benissimo risalire alla
via degli anni '43 che zigzagano attorno alla parte bassa della nostra via,
scegliendo sempre il percorso più facile che in un paio di punti attraversa
la nostra linea.
Passano un paio di anni. Con i compagni di cordata e con mio padre, che
risveglio da un letargo alpinistico, apriamo qualche via di roccia e di
misto e intanto il tarlo della Corna Piatta continua a scavare. Da lontano
si scorge un sistema di diedri stupendi contornati da placche troppo
compatte e verticali per una salita invernale. Eppure un'idea inizia a farsi
strada: questa particolare ferrata viene chiusa d'inverno in quanto il cavo
viene sepolto dalla neve; d'inverno la parete è tutta per noi! E allora, con
Emanuele e Hamal, ci facciamo coraggio e decidiamo di aprire la via dal
basso su un percorso che evita la ferrata; in dry tooling, chiodando a spit,
ma evitando passi in artificiale. Insomma, spittando, ma conservando un po'
di stile.
Il progetto risulta subito molto ambizioso. Così a naso contiamo 8 tiri,
divisi centralmente da una grossa cengia. I primi tiri fanno bella vista di
sé già all'attacco, culminando con un diedro tanto bello quanto minaccioso.
La fessura basale sembra troppo grossa per le picche e la placca che ne
forma il lato destro è compattissima. Non siamo certi che si possa salire
con i ramponi, ma non vediamo l'ora di metterci il naso!
Il primo giorno ci mette subito in riga. Mentre ci prepariamo all'attacco,
fissiamo come obiettivo il raggiungere la cengia del quarto tiro, per poi
fissare una corda che ci permetta di continuare la via evitando la prima
parte. Parto carico, ma ben presto mi rendo conto che è molto più dura di
quello che immaginassimo. Dopo due ore di fatica mi trovo appeso a 15 metri
da terra, in sosta su due cliff hanger con il trapano, arricciato al rinvio
sotto di me, che non vuole saperne di seguirmi. Forse il trapano ci ha visto
bene, quella fredda mattina autunnale, perché ci metteremo tre giorni per
arrivare finalmente alla base del diedro.
Tre giorni di avvicinamenti con zaini stracarichi; tre giorni passati per
lo più in sosta a guardare il compagno strisciare lentamente, uno spit dopo
l'altro. Alzati qualche movimento - cerca un appiglio per i cliff hanger -
recupera il trapano – fora - metti lo spit - appendi il trapano-togli i
cliff hanger - ripeti... Proprio durante una di queste interminabili soste
la via prende il suo nome, quando dal taschino della giacca di Hamal una
voce rompe il silenzio: "In una di quelle grandi casse, cinquanta in tutto,
su un mucchio di terra scavata da poco, giaceva il Conte! Era morto, o
addormentato, non lo capivo, perché gli occhi erano aperti e immobili, ma
senza l'aspetto vitreo della morte". Fu così che passammo la sosta ad
ascoltare l'audiolibro di Dracula, partito fortuitamente dal cellulare di
Hamal.
Metro per metro, la dama di pietra cede lentamente al nostro corteggiamento
e inizia a svelarci le sue forme. Il diedro del terzo tiro parte con una
fessura offwidth che ingoia le piccozze e il braccio fino al gomito, poi si
stringe invitandoti ad alzare la picca quanto basta per quell'incastro
perfetto, che sei sicuro che se solo riuscissi a raggiungerlo potresti
issarti senza altri appigli, con i ramponi che schettinano sul calcare
compatto. Così bello che ti spiace abbandonarlo quando al culmine devi
buttarti fuori in esposizione per rimontare il pilastrino che ne forma il
lato sinistro e da qui, su un terrazzino non più largo di un paio di
ramponi, volgere lo sguardo verso il basso ai compagni in sosta, con la
felicità di un bambino che è riuscito a scalare le pareti del lettino.
Insomma, il diedro è favoloso e ci ripagherà dei primi tre giorni di fatica
lasciandoci entrare sulla grande cengia al centro della parete. Da qui,
manca solo metà via...
Per finirla ci vorranno ancora quattro mesi, tra impegni personali e
nevicate così copiose che non permettono di accedere in sicurezza alla via.
Attrezziamo gli ultimi 4 tiri in modo non meno sofferto dei primi 4, ma
sempre con la soddisfazione di veder crescere una via che continua a
stupirci. I tiri più alti offrono condizioni più miste, dove la neve si
ferma più facilmente sulla parete, ma ogni tiro ha qualcosa di particolare.
Battezziamo il quinto tiro le "pance nere" per il colore nerastro delle
pance strapiombanti che attaccano sopra la grande cengia. Il sesto tiro "la
torre" perché percorre un camino formato da un grosso pilastro. Il settimo
"la grotta" poiché sbuca da un piccolo grottino sul nevaio sommitale.
Ad aprile siamo finalmente pronti a tentare la via integralmente. La parete
è stata asciugata dal sole primaverile, ma decidiamo di tentare comunque; ci
seccherebbe rimandare al prossimo inverno. Eppure l'Alben non è ancora
pronto e ci sbatte la porta in faccia. L'uscita è una débâcle totale; siamo
tesi, senza ritmo e commettiamo tanti errori. Io perdo il secchiello alla
prima sosta, Hamal lancerà nel vuoto un rinvio ed Emanuele testerà i nuovi
spit volando sul diedro del terzo tiro. A metà via siamo in ritardo, nervosi
e stremati. Decidiamo di calarci e torniamo alla macchina in silenzio,
coscienti che probabilmente ci siamo giocati l'ultima occasione per salire
la via.
Non potevamo sapere, durante quella triste camminata, che due settimane dopo
la parete avrebbe cambiato faccia e indossato un nuovo abito bianco; un
ritorno di inverno che riporta indietro le lancette a gennaio! E questa
volta cogliamo l'occasione con una salita perfetta su neve incrostata e
ghiaccioli. In sintonia non solo tra compagni di cordata, ma forse anche con
la montagna che ci regala una giornata indimenticabile, abbracciandoci tra i
suoi canali, camini, placche e splendidi diedri.
Sbuchiamo in vetta con una soffice nevicata tra qualche timido raggio di
sole e tutto d'un tratto le fatiche, le delusioni e le paure sono cancellate
e rimane solo un'immensa soddisfazione.
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